Harry Potter and the Philosopher's Stone
di J. K. Rowling
(Bloomsbury, London 1997)

Alla fine sono stato trascinato nella grande Saga. Ho resistito a
denti stretti, ma poi commenti, consigli, entusiasmi, il regalo...
Ho letto il primo HP. L'ho letto quasi senza fermarmi, ed ora sto gia'
leggendo il secondo. Sono contento, sono un buon campione
rappresentativo di una moltitudine di entusiasti.

E' una macchina abbastanza perfetta: probabilmente per i ragazzi,
probabilmente per i grandi. Leggendolo si ha la sensazione forte di
questa perfezione, e da questa si e' trascinati. In realta' tanta
bravura mi affascina. Vorrei capirla. Mi e' ancora piu' oscura della
bravura che porta alla grandezza letteraria (e non e' questo il caso):
almeno li' capisco quale sia il punto di arrivo, so qualificare
(almeno per me stesso) le sensazioni che la grande letteratura mi da',
anche se non so nulla del come si faccia. Qui invece non so nemmeno
dire dove sia la perfezione che affascina una parte di me che non
conosco bene. Poi dietro lo specchio non c'e' molto, e ripensando non
si ritrovano idee, racconti, storie da ricordare: solo il grande
piacere di una tecnologia magistrale, probabilmente venuta da Marte o
da Giove.

Nella loro linearita' restano la studiosa Hermione (chi non ha
conosciuto una scolara cosi'), l'amico Ron (fortunato che ha avuto un
amico cosi'), molti professori buoni e tanti, tanti, maghi cattivi.