Harry Potter and the Prisoner of Azkaban,
di J. K. Rowling
(Bloomsbury, London 1999)

Finito il terzo Harry Potter in tre giorni (come sempre) sono sempre
dipendente e perplesso, ma un po' piu' contento che con il
secondo. Qui almeno la forza di una grande complessita' si impone come
carattere dominante, e le cose tendono a non essere quello che
sembrano. Anche troppo, quando un rovesciamento sconvolge in sei o
sette linee un disegno tracciato in trecento pagine: ma complimenti
per il tentativo, ed un po' di divertimento in piu' per me.

Carino anche il clima da "Amici Miei" fra maghi di tanti anni fa, i
giovani maghi vedono che i vecchi maghi erano un po' come loro, ma poi
si puo' diventare cattivi, si puo' soffrire, si puo' tradire, far
soffrire, uccidere e torturare.

Mieloso il Patrono, lineare invece il viaggio nel tempo, da cui la
storia esce senza troppi danni ne' congiure troppo elementari.

Harry Potter resta il mio mistero personale, e non so leggerlo alla
luce della, mia, ragione. Non mi lascia molto, ed anche la sensazione
di felice leggerezza e' assai vaga, ma mi ci inoltro ogni volta a
corpo morto, e non so uscirne. Mi resta, per ora, una quarta
occasione. A settembre.